Controlla i numeri, ma non dimenticare le persone

Data has a better idea by Franki Chamaki

La scorsa estate ho letto due libri: “Invisibile” dello scrittore spagnolo Eloy Moreno e “Invisibili” della scrittrice e femminista britannica Caroline Criado Perez

Cosa fai se pensi di spendere troppo per il riscaldamento della tua casa? O se vuoi controllare quanto tempo cammini o corri ogni giorno?

Cerchi i dati – quante ore il tuo riscaldamento è acceso in un giorno o quanti passi hai fatto oggi – e li usi per capire cosa sta succedendo, per valutare se la situazione va bene per te o meno, per decidere come cambiare eventualmente.
In entrambi i casi stai cercando un modo per migliorare il tuo benessere, partendo da diversi punti di vista: lo stato delle tue finanze, quanto è confortevole stare in casa, quanto pratichi sport.

Lo stesso approccio può esserci utile anche per influenzare il modo in cui governi ed enti locali gestiscono le questioni pubbliche. O il modo in cui comunica la nostra azienda. E per farlo con maggiori probabilità di successo è importante ricorrere anche alla nostra empatia

Prendiamo un esempio: nel giugno 2020 la Harvard Political Review ha pubblicato un pezzo sulla “Campaign Zero”, un’associazione che negli Stati Uniti vuole ridurre gli atti di violenza da parte della polizia e che ha posto l’accento sul fatto che  la maggior parte delle vittime di questi reati sono neri.

Parte della soluzione sta nei dati. Se andiamo a guardare i dati, ad esempio quelli pubblicati dalla Città di Filadelfia, c’è una sezione dedicata ai “Reclami contro la polizia”. Raccoglie i dati sui poliziotti che sono stati denunciati per cattiva condotta: ci mostra quante volte è successo, perché, ci consente di identificarli attraverso il loro numero identificativo e ci dice anche che la maggior parte delle persone che avevano sporto denuncia sono neri.

Derek Chauvin, il poliziotto recentemente condannato per l’omicidio di George Floyid a Minneapolis, ha ricevuto 18 denunce prima di quel giorno, ma nessuno è intervenuto per prevenire la peggiore cattiva condotta.

In quel caso è abbastanza evidente che abbiamo mancato di usare la nostra empatia e la nostra razionalità per verificare che qualcosa stesse andando storto finché non è stato troppo tardi. 

I dati esistevano, erano pubblici ma evidentemente nessuno si è preoccupato di usarli a sufficienza per indagare su quello che era successo e capire quali erano i potenziali rischi. I dati sono rimasti lì e non sono stati inseriti nel giusto contesto. Né ci si è fatti abbastanza domande sulle possibili conseguenze.

In breve, avere dati e renderli pubblici, non è sufficiente finché pensiamo che i dati siano solo cifre. I dati parlano sempre delle persone. I dati sono un segnale che dovremmo imparare a leggere e inquadrare correttamente.

Farsi qualche domanda utile

Credo che una possibile soluzione sia adottare un approccio più consapevole sul significato dei dati. 

Ecco alcune domande che di solito mi pongo per essere sicura di non perdere il “fattore umano” e i possibili contesti sui dati che sto analizzando:

  • Chi sono le persone coinvolte da questo fenomeno?
  • Conosco qualcuno che fa parte di questa categoria? Posso contattarlo per fare domande e migliorare la mia conoscenza di quello che sta succedendo?
  • Chi sono le persone che possono prendere decisioni sulla base di questi dati?
  • Conosco qualcuno di loro? Posso contattarlo per porre domande e migliorare la mia conoscenza su come utilizzano i dati?
  • Come avviene la raccolta dei dati?
  • C’è un’area della città, della regione o del paese in cui il fenomeno che sto analizzando è particolarmente rilevante? Perché?
  • Quali sono altre possibili aree / persone / decisioni correlate al fenomeno di cui mi parlano questi dati?
  • Ci sono altri dati che posso utilizzare per confrontare / stabilire relazioni con i miei?

I dati sono davvero potenti per migliorare l’efficienza con cui leggiamo un fenomeno, ma se li usiamo per comprendere la vita quotidiana delle persone, possiamo metterci meglio in contatto con il nostro pubblico, come giornalisti e comunicatori. 

Un buon uso dei dati bilancia il metodo con cui trattiamo i dati, che deve essere tecnicamente corretto, e ci aggiunge l’empatia

In due parole: leggiamo i numeri, ma non dimentichiamo le persone.

Controlla i numeri, ma non dimenticare le persone
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