Uno sguardo al futuro del giornalismo: intervista a Laurens Vreekamp

laurens-vreekamp

La scorsa estate ho letto due libri: “Invisibile” dello scrittore spagnolo Eloy Moreno e “Invisibili” della scrittrice e femminista britannica Caroline Criado Perez

Oggi iniziamo una serie di interviste a giornalisti, formatori ed esperti di tecnologia che lavorano nell’ambito dell’innovazione nel giornalismo. L’obiettivo è vedere cosa sta succedendo nel settore in altri Paesi e quali potrebbero essere gli approcci più interessanti, tecnologie e tendenze da adottare per le nostre esigenze.

Il nostro primo ospite è Laurens Vreekamp, esperto di design thinking, formatore e fondatore di Future Journalism Today ed ex Teaching Fellow del Google News Lab. 

Laurens vive ad Amsterdam ed è un formatore creativo. Grazie alla sua esperienza nel design thinking, inoltre, ha un approccio globale e strutturato in grado di favorire l’innovazione all’interno delle redazioni.  

Ciao Laurens, benvenuto! Partiamo dalla tua ultima impresa: nei mesi scorsi hai lanciato “Future Journalism Today”, una società che offre formazione e workshop e che cura anche una serie interviste dal vivo su YouTube con innovatori che lavorano nel giornalismo in tutta Europa. Puoi dirci di più sul progetto e su come ti è venuta in mente l’idea? 

“Quando il mio lavoro come formatore con Google News Lab si è concluso nel bel mezzo della pandemia, ad agosto 2020, volevo esplorare ulteriormente le prospettive future del giornalismo. La maggior parte dei giornalisti e delle redazioni hanno dovuto adattarsi alla collaborazione online dall’oggi al domani, mentre in Google per la maggior parte delle persone questa era già una routine quotidiana. Mi chiedevo cosa potesse venire fuori da quell’improvviso salto digitale nel nostro settore e dove e come si presenteranno nuove possibilità di sviluppo del giornalismo. 

Dopo aver visitato molte redazioni nei Paesi Scandinavi, in Belgio e nei Paesi Bassi, e aver formato oltre 2400 giornalisti – tutti incontrati prima della pandemia, per essere precisi – avevo già un’idea delle esigenze e delle sfide per le redazioni che ci attendono … e grazie al Covid-19 quelle esigenze e quelle sfide hanno avuto un enorme impulso, anche se non tutte allo stesso modo.

I fatti mi hanno spinto ancor di più a chiedermi quali nuove tecnologie, tendenze nel giornalismo e best practice di altri settori potessero aiutare ad affrontare alcune delle nuove sfide – il cui numero sembra quasi infinito – nel nostro settore. Ho capito che volevo facilitare questo viaggio per i giornalisti, cercando di farlo con un approccio incentrato sull’utente.

L’idea è lavorare con redazioni, associazioni di giornalisti o editori. L’offerta di Future Journalism Today cerca di soddisfare esigenze diverse a diversi livelli: dal  fornire una formazione sulle competenze digitali di un paio d’ore, ad esempio sull’uso delle metriche, come parte magari di in un più ampio programma formativo all’interno di un’azienda editoriale. Oppure sviluppo e offro seminari e corsi di formazione più approfonditi e personalizzati come quello sull’uso dell’intelligenza artificiale in campo editoriale e collaboro con una società di consulenza, Fathm.co, per la quale sviluppo servizi personalizzati in base alle richieste dei clienti.

C’è poi il canale Youtube Future Journalism Today Live che si propone di ampliare l’orizzonte, intervistando chi fa innovazione nel giornalismo. Queste interviste sono in diretta streaming ed è possibile partecipare ponendo domande agli ospiti attraverso la chat di Youtube. La diretta va in onda l’ultimo giovedì di ogni mese alle 17:00, in compagnia, oltre a me, della co-conduttrice Nadin Rabaa”.

Futuro e giornalismo sono un abbinamento “spinoso” al giorno d’oggi in quasi tutti i Paesi, ma dall’altra parte è indiscutibile che non si possa far altro che andare avanti. Secondo te, quali sono le tendenze e gli strumenti tecnologici più interessanti che possono aiutare l’innovazione nel giornalismo?

“Le tendenze più interessanti non sono tecnologiche di per sé, ma quello che ho notato molte volte è che usare la tecnologia come stimolo può essere un potente strumento per pensare e discutere nuove idee, prodotti e soluzioni. 

Quando si combinano il potenziale delle tecnologie con il design thinking, e quindi si coinvolge l’utente in ogni fase del processo – che si tratti di inventare un prodotto completamente nuovo o di scrivere un pezzo sulle scuole locali – la tecnologia non è solo uno strumento, ma diventa un mezzo per vedere nuove possibilità, aiuta a organizzare e facilitare il lavoro e, se davvero ben compresa e utilizzata, anche a creare nuovi tipi di lavoro. Molti progetti nel campo dell’OSINT (Open Source Intelligence, ndr) o quelli condotti da Bellingcat mostrano come l’utilizzo della tecnologia e la collaborazione anche da remoto possano avere un grande impatto.

Un’altra tecnologia che è promettente per i giornalisti è il machine learning. Per ora nelle redazioni abbiamo visto alcuni possibili usi, ma c’è ancora molto potenziale da esplorare. Basta guardare all’esempio che la Google News Initiative sta usando nel suo corso online sul machine learning realizzato da Texty.org.ua in Ucraina, o come la piccola redazione peruviana di Ojo Publico abbia addestrato un algoritmo per individuare casi sospetti di corruzione nei contratti governativi.

Ritengo anche che sapere come coinvolgere il proprio pubblico sia fondamentale: comprendere veramente chi sono i tuoi utenti finali per servirli al meglio con i tuoi contenuti. Questo, per fortuna, è un trend che sembra essere considerato sempre più un default per le redazioni. 
Proprio la scorsa settimana, nei Paesi Bassi, tre diverse redazioni, tutte relative a media diversi – stampa, televisione e online – hanno unito le forze, insieme a un’organizzazione non profit tedesca chiamata Algorithm Watch, per condurre un’indagine su come Instagram tratta i post con foto di politici olandesi, in vista delle elezioni politiche del 17 marzo. Per svolgere questa indagine le tre testate dipendevano fortemente dagli utenti: al pubblico è stato chiesto di offrirsi volontariamente per svolgere parte del lavoro tramite l’installazione di un’estensione di Chrome che inviava i dati dei feed di Instagram degli utenti perché fossero analizzati dai giornalisti.

L’ultimo aspetto è il prodotto. La maggior parte degli editori sta iniziando a rendersi conto che non è solo il contenuto che deve essere eccezionale. Se l’esperienza dell’utente e il design del prodotto non sono all’altezza di ciò che le persone si aspettano – come Netflix, Uber o Google ci hanno abituato – stai fallendo e perdendo molte delle opportunità che consentirebbero di attirare nuovi lettori o di mantenere quelli esistenti. Subiamo tutti questo confronto, e anche se sappiamo che non è valido in molti modi, sfortunatamente non c’è modo di discuterne con (la maggior parte) del nostro pubblico. Quindi è meglio fare in modo che anche il nostro prodotto sia curato sotto tutti i punti di vista!”.

Dato che hai lavorato come Google Teaching Fellow in Belgio, Olanda e nei Paesi Scandinavi, potresti dirci di più su come vivono questa sfida lì? Poiché immagino che, rispetto all’Italia, siano un po’ più innovativi nel settore dell’informazione, sono curiosa di conoscere sia qual è il loro approccio all’innovazione sia qualche case history (di successo o meno) in cui ti sei imbattuto mentre facevi formazione.

“Non posso parlare per l’Italia o per redazioni o giornalisti italiani, visto che non parlo italiano e ne ho conosciuti o letti pochissimi. La più grande differenza, almeno dal quel che ho visto osservando e parlando con giornalisti ed editori incontrati nei Paesi Scandinavi e nel Benelux, è che le redazioni hanno tutte una loro infrastruttura digitale ben consolidata. Lavorano a partire dai dati che raccolgono, mettono in atto strategie di coinvolgimento del pubblico e sono disposti a fare – e la maggior parte di loro lo ha già fatto – scelte su chi è il loro pubblico, su cosa rappresentano, su qual è la loro impronta, e quindi sanno perché, per cosa e come dovrebbero lavorare.

Allo stesso tempo, mi hanno anche raccontato che vorrebbero essere più creativi e audaci e hanno ammesso che vorrebbero essere più giocosi o radicali, come vedono fare riguardo ad alcune iniziative, prodotti o pezzi interattivi realizzati in Belgio o nei Paesi Bassi. 

Quando chiedi a giornalisti olandesi o fiamminghi, d’altro canto, loro riconoscono e ammettono che a volte si dedicano a sprint di innovazione per amore dell’innovazione, trascurando quello che definiscono ‘l’impianto idraulico giornalistico’, o i fondamentali per dirla in altro modo – che gli scandinavi fanno invece così bene, secondo loro”.

Tu sei anche un esperto di design thinking: potresti spiegare quali benefici questo approccio può portare al giornalismo? 

“Anche se ne ho accennato in alcune delle risposte precedenti, penso che nessuno potrebbe spiegarlo meglio di una delle nostre ospiti di Future Journalism Today LIVE (E07), Alina Fichter. Lei è a capo del Digital Format Development per Deutsche Welle e ha frequentato la Stanford University nella Silicon Valley, dove insegnano design thinking anche a non designer nella loro d.school. Quindi, suggerisco di ascoltare direttamente dalla sua voce la spiegazione, le sue esperienze e i suoi consigli sull’applicazione del design thinking al giornalismo:


(Il video è in inglese, con la possibilità di leggere i sottotitoli in italiano
tramite i comandi Impostazioni – Sottotitoli – Traduzione automatica, selezionando “Italiano” nell’elenco delle lingue disponibili).

Uno sguardo al futuro del giornalismo: intervista a Laurens Vreekamp
Torna su